Gli alleati di fatto di Mosca, Minsk e Teheran non hanno gli stessi interessi, né lo stesso rapporto con il Cremlino.
Isolata dall’Occidente e internamente destabilizzata da manifestazioni violente, Teheran sta giocando più carte contemporaneamente. Pierre Razzo riassume: “Non è più alleato con la Russia oggi di quanto lo fosse ieri, ma il suo governo è pragmatico”.
“Il Cremlino deve affrontare i turchi e gli azeri nel Caucaso e fornire l’ultima generazione di caccia e missili da crociera di accompagnamento, per fare pressione su Israele in Siria e bilanciare la presenza cinese che è diventata troppo forte”.
Minsk, da parte sua, cammina sui gusci d’uovo. Il presidente Alexander Lukashenko, al potere dal 1994, ha bisogno del sostegno di Mosca ma ha poco da offrire.
“Il 90% dei bielorussi non sostiene la guerra” in Ucraina, stima Giovanni Chiacchio, il cui capo di Stato è sopravvissuto al movimento di protesta del 2020 “grazie alla lealtà delle sue forze armate”, che oggi non può mettere nei guai.
Per intervenire in Ucraina, Lukashenko deve “mobilitare la sua popolazione e chiamare 300.000 riservisti nel suo esercito”, assicura Ivan Kleiszeks. “È una linea che non oltrepasserà, per la sua sopravvivenza politica”.
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